Condominio ed eliminazione delle barriere architettoniche

condominioL’ascensore non può ledere le parti comuni (così decide la Cassazione con sentenza 14786 del 24/06/09).Quindi la legge sull’eliminazione delle barriere architettoniche (Legge 13/1989 art.2) che consente una maggioranza ridotta per deliberare la fornitura e installazione dell’impianto, non è esaustiva!Prima il condominio deve deliberare sulla legittimità dell’uso delle parti comuni per posizionare l’impianto con le maggioranze qualificate di 2/3 di cui art. 1120 del Codice Civile.

Maggioranze per l’amministratore?

Maggioranze per l’amministratore? Mentre la giurisprudenza si evolve il legislatore ignora tutto ciòcon allo studio la riforma del condominio che diventa azienda con costi di amministrazione stratosferici.Degna di nota la decisione del Tribunale di Roma (sentenza 10 Gennaio 2009) che ipotizza una maggioranza ridotta per la conferma dell’amministratore (quella di 1/3 idonea per la seconda convocazione).Sentenza coraggiosa ma che dovrà essere vagliata dalla Cassazione!

Piano casa: approvata la legge regionale n. 24/09

casa-miniaturaLa Toscana è stata la prima Regione a legiferare in materia di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. E va detto che ha recepito abbastanza fedelmente il contenuto dell’intesa del 1° Aprile scorso. Vediamo, dunque, cosa ha previsto, premettendo che la denuncia di inizio attività per realizzare gli interventi edilizi di seguito elencati dovrà essere presentata entro e non oltre il 31 dicembre 2010.

Interventi di ampliamento

La legge n. 24/09 della Rebione Toscana consente interventi edilizi di ampliamento di ciascuna unità immobiliare fino a un massimo del 20% della superficie già esistente alla data 31 marzo 2009 e comunque fino a un massimo per l’intero edificio, di 70 metri quadrati. Tali interventi (che in ogni caso non possono modificare la destinazione d’uso degli edifici interessati) vanno realizzati solo su immobili abitativi aventi (sempre alla data 31 marzo 2009) le seguenti caratteristiche:a) Tipologia monofamiliare o bifamiliare;b) Altra tipologia purché di superficie non superiore a 350 metri quadrati.Ulteriore condizione (che vale anche le opere straordinarie di demolizione e costruzione di cui diremo tra poco) è, poi, che gli interventi vengano effettuati solo “su edifici abitativi per i quali gli strumenti urbanistici comunali consentivano già addizionali funzionali”.

Demolizione e ricostruzione

La legge della Toscana consente sugli edifici residenziali anche interventi di completa demolizione e ricostruzione con ampliamento fino al massimo del 35% della superficie utile già esistente alla data del 31 marzo 2009 (il 15% degli edifici a destinazione mista residenziale-commerciale).Come per gli interventi straordinari di ampliamento, anche in tal caso non può essere modificata la destinazione d’uso degli edifici interessati. Il numero delle unità immobiliari originariamente esistenti può, invece, essere aumentato, purché le unità immobiliari aggiuntive abbianno una superficie utile non inferiore a 50 metri quadrati.

Condizioni generali di ammissibilità

Le principali esclusioni riguardano i centri storici (zone A), gli edifici con vincolo storico-artistico o in zone di inedificabilità assoluta, parchi, riserve. Dall’incremento vanno pure sottratte le superfici abusive, anche se in seguito condonate. Vanno comunque rispettate le distanze legali tra costruzioni, le altezze massime dei fabbricati e le dotazioni di opere di urbanizzazione primaria.Molta attenzione viene poi prestata al risparmio energetico: in caso di ampliamenti, l’indice di prestazione energetica delle volumetrie aggiunte deve essere del 20% rispetto a quelli previsti per le nuove costruzioni dal 2010 in poi. In ipotesi di demolizioni e ricostruzioni si pretende il 50%  in più su tutto l’edificio. Nessun cenno la legge contiene, invece, ai contributi di costruzione, alle norme anti-sismiche o alle autorizzazioni paesaggistiche: deve ritenersi quindi che in materia rimanga tutto invariato.È previsto il contributo con detrazione IRPEF del 55%.

L’UPPI e Gesticasa Srl con il proprio ufficio tecnico e il supporto della Studio Baldazzi possono predisporre il vostri progetto. Per informazioni rivolgersi in sede.

Locazioni abitative e non. Problemi ed innovazioni a seguito dell’entrata in vigore della legge 431/98

Premessa

In materia delle locazioni da sempre si presta a ferventi dibattiti e contrastanti orientamenti giurisprudenziali certamente per la rilevanza sociale e politica degli interessi in gioco, ma anche per i bisantinismi degli avvocati e sopratutto per lo scarso tecnicismo del Legislatore che, nell’emanazione delle riforme e delle leggi che hanno interessato la materia, ha sempre lasciato lacune e dubbi che spesso soltanto dopo decenni di applicazioni giurisprudenziali si sono risolti e consolidati.gilberto_baldazziLa legge 431/98, che ha riformato totalmente la materia delle locazioni abitative non fa eccezione tanto che nella breve disanima di alcuni aspetti di primario interesse che segue, non si potrà fare a meno di assumere un atteggiamento che definirei più “realista del re” evitando quasi sempre di sostenere interpretazioni giurisprudenziali poco praticabili e pertanto fornendo consulenze spesso prudenti e non azzardate ciò visto anche il generale favore delle ragioni del condutore che da sempre permea le riforme emanate nella materia, ma spesso anche la sua interpretazione giurisprudenziale.Atteggiamento quanto mai opportuno per chi come il sottoscritto da quasi quindici anni fornisce consulenze nella materia presso l’UPPI e deve fornire risposte rapide e sommarie, ma sempre esaustive ed “operative” per affrontare problemi di ogni genere e risolverli rapidamente.

Disciplina dei rinnovi

Premessa: il problema dei rinnovi nella amteria delle locazioni è una di quelle eterne questioni che si deve affrontare ogni volta che viene emanata una riforma o una legge sul punto e ciò per la evidente considerazione che trattandosi di contratti di durata esiste un inizio, una scadenza, dei termini e delle modalità per risolvere i contratti, nonché evidenti interessi contrapposti delle parti locatore e conduttore, a risolvere il contratto il prima possibile per il primo e il più tardi possibile per il secondo.Come noto la riforma delle locazioni abitative l. 431/98 le ha integralmente regolate secondo un sistema binario: le locazioni libere con durata di anni 4 anni +4 e le locazioni convenzionate che per quanto attiene quelle abitative hanno durata di 3 anni +2.La regola del “più” nelle locazioni è la dimostrazione della generale attenzione e tutela delle ragioni del conduttore considerato spesso a torto “parte debole” e prende le mosse dalla legge 392/78 con l’introduzione dei 6+6 in materia di locazioni commerciali, essendo poi ripreso dalla legge 359/92 dei patti in deroga con i 4+4 e poi con la già citata 431/98, sempre con i 4+4 e con i 3+2.Il sistema è sempre il medesimo e consiste nell’inserire un meccanismo limitativo del diritto della risoluzione del contratto di locazione allo scadere del primo periodo di locazione.I rinnovi dopo il primo biennio nei contratti 3+2 e dopo il primo quadriennio nei 4+4. In buona sostanza allo scadere del primo seiennio. quadriennio o triennio il contratto è disdettabile solo per necessità personali abitative del locatore o suoi parenti od affini o per altri motivi ben specificati, quali la completa ristrutturazione, oppure ancora la vendita, con la legge 431/98, ma soltanto ove il locatore sia proprietario di una sola unità immobliare.Fin qui nulla da eccepire, come nulla vi è da eccepire quando si invia la disdetta nei termini di legge per il secondo periodo contrattuale (sei o dodici mesi prima della scadenza), in tal caso non è infatti necessaria la motivazione e si può disdettare e risolvere il contratto semplicemente per volontà, ad nutum per usare il solito latinismo tanto gradito agli avvocati.Ma che succede quando il locatore si dimentica di inviare la disdetta al secondo periodo di contratto ed il contratto si rinnova?La questione che sembrerebbe di facile soluzione si complica ove si pensi che il locatore avrà l’evidente interesse a ritenere il contratto rinnovato di soli 4 anni ed il conduttore di altri 4+4 e che la legge appare tutt’altro che chiara. La lettera della norma che ci interessa, l’art. 2 comma 1 l. 431/98 per il 4+4 e comma 5 per il 3+2 è la seguente:

Art. 2Modalità di stipula e di rinnovo dei contratti di locazione.1. Le parti possono stipulare contratti di locazione di durata non inferiore a 4 anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di 4 anni, fatti salvi i casi in cui il locatore intenda adibire l ‘immobile agli usi o effettuare sullo stesso opere di cui all ‘articolo 3, ovvero vendere l ‘immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. Alla seconda scadenza del contratto, ciascuna delle parti ha il diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all ‘altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni. […]5. I contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 non possono avere durata inferiore ai 3 anni, ad eccezione di quelli di cui all’articolo 5. Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso la opere di cui all’articolo 3. ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3.Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha il diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni. […]

Allora cosa ha inteso il Legislatore dicendo che in mancanza di disdetta il contratto è rinnovato alle medesime condizioni? Di primo impatto verrebbe da dire che inizia un nuovo contratto inteso complessivamente come 4+4 o 3+2 poiché la formula generica “alle medesime condizioni”  sembrerebbe indicare le condizioni complessive del negozio giuridico. E tale parrebbe essere l’intepretazione letterale. Ma rispolverando i criteri ermeneutici di interpretazione della legge ed approfondendo la questione la soluzione non appare più così semplice. Anzitutto sempre applicando una interpretazione letterale ma aggiungendo un criterio interpretativo di logica possiamo subito notare come nel periodo che ci interessa si parli del contratto la cui durata nella parte iniziale del comma che ci interessa viene indicata in anni quattro.Ciè il contratto ha la durata di anni 4 e si rinnova automaticamente salvo la necessità.Ma allora si potrebbe intanto dire che se il contratto si rinnova alle medesime condizioni per medesime condizioni ciò s’intende. anni 4 e non 4+4.Ciò tra l’altro appare confermato dalla circostanza che la norma in oggetto per descrivere la disciplina che stiamo esaminando parla di prima e seconda scadenza e dunque indica esattamente quali sono le scadenze a cui si applicano le sopradescritte modalità. La prima e la seconda.Poi il contratto si rinnova alle medesime condizioni ed è ben vero che posso interpretare la norma come se intendesse le condizioni economiche e la durata e non la limitazione al diritto della disdetta, che in quanto appunto limita un diritto della parte, deve essere intesa come essa stessa limitata alla fattispecie cui si riferisce espressamente e cioè appunto la prima scadenza.Alle medesime conseguenze si giunge applicando un ragionamento analogico che si diparte dalla interpretazione del medesimo meccanismo di rinnovi che regola le locazioni commerciali (6+6) e che regolava i patti in deroga (4+4) i cui rinnovi automatici si limitano al secondo periodo della durata del contratto e pure alla ratio della norma che è quella di tutelare il conduttore offrendogli un contratto abbastanza lungo inizialmente, salvo poi ripristinare il complesso dei diritti – obblighi delle parti.È pur vero che vi sono altrettante ragioni letterarie e sistematiche da cui potrebbero conseguire opposte conseguenze proprio sugli stessi punti ma, senza tediare ulteriormente gli ascoltatori, si è semplicemente inteso dimostrare alcune ragioni a sostegno di tale tesi che appare più favorevole agli interessi dei proprietari – locatori.La giurisprudenza: del resto è considerazione fin troppo logica che le norme sono applicate dai Magistrati e che per i motivi detti sopra (cattiva tecnica legislativa e scarsa chiarezza del dettato normativo) tale compito spesso non è facile e può lasciare spazio a differenti interpretazioni anche tra i Magistrati stessi. non risulta che ad oggi vi sia un orientamento giurisprudenziale di legittimità della Corte di Cassazione cui spesso si guarda come punto di riferimento per adeguare le proprie interpretazioni, anche se non dovrebbe tardare.Ad oggi, pertanto, occorre sostenere fortemente la tesi “limitativa” secondo cui in assenza di disdetta il contratto si rinnova per soli 4 anni e non 4+4 seppure con una doverosa cautela che deve necessariamente improntare la nostra attività di consulenti ed avvocati viste anche le conseguenze oggi pesanti quando si perde una causa in termini di spese legali.Di qui l’atteggiamento più “realista del re” cui si faceva riferimento in premessa per cui è doveroso informare correttmente  gli associati o comunque i clienti prospettando esattamente il rischio di una causa.Ma anche soprattutto attenzione nel redigere le disdette  per la scadenza successiva ai primo otto o cinque anni di contratto che prudenzialmente dovrà essere redatta contenendo pure i motivi di necessità o quant’altro in caso sussistano.Modalità dei rinnovi per i contratti stipulati nel precedente regime normativo (l. 392/78 o l. 359/92 ed altri):Viceversa l’atteggiamento della giurisprudenza sui rinnovi dei contratti ex 392/78 o ex 359/92 non disdettati alla scadenza appare meno dubbio. In forza della disposizione di cui all’art. 2 comma 6,

6. I contratti di locazione stipulati prima della data di entrata in vigore della presente legge che si rinnovino tacitamente sono disciplinati dal comma 1 del presente articolo.

essi appaiono rinnovarsi  di anni 4+4  ed anche qui la giurisprudenza (ed in tal caso non solo quella fiorentina) risulta orientata in tal senso con alcune distinzioni che ora non è il caso di esaminare analiticamente per non appesantire la esposizione a pena di divenire eccessivamente tecnica e corposa.

Foresterie e seconde abitazioni. Razze estinte?

Altro argomento che appare con frequenza all’esame dei consulenti è quello della legittimità delle foresterie e con meno frequenza delle seconde abitazioni. Una delle preoccupazioni principali degli associati che vengono a chiedere informazioni in materia di contratti, è infatti quella di non restare incastrato nelle maglie delle norme imperative appena elencate per ciò che attiene la durata che appare ai più esagerata e incute timori spesso peraltro poco fondati.Sono sempre un po’ titubante nel riferire la durata del contratto (di fatto otto anni) perché mi aspetto lo sguardo preoccupato dell’associato e la domanda tipica “e se la mia figliola si deve sposare?” salvo scoprire poi che la figliola ha dodici anni oppure che a sposarsi non ci pensa nemmeno. E l’osservazione successiva potrebbe essere “mio cognato mi ha detto di fare una foresteria”. Oppure “non gli farei prendere la residenza, è una seconda casa. Così è meglio?”A parte gli esempi fatti e volutamente un po’ sforzati, il problema della attuale legittimità o meno del contratto ad uso foresteria non è da sottovalutare.Esiste infatti certa dottrina che ne sostiene con forza la legittimità. Ed in effetti se fosse vero che è legittimo stipulare questo tipo di convenzioni il risultato sarebbe quello di evitare  la durata imperativamente prevista dalla legge per le locazioni abitative, ovviamente in questa tipologia di contratti.Senza addentrarsi in sottili questioni interpretative che prenderebbero troppo tempo credo sia sufficiente esaminare la lettera dell’art. 1 della legge 431/98 e rifarsi ancora  a un sano criterio di praticità e prudenza nel consigliare l’associato o il cliente in generale.L’art. 1 nell’identificare la sfera di applicazione della legge 431/98 recita infatti:

Capo I

Locazione di immobili adibito ad uso abitativo

Art. 1 (ambito di applicazione )1 I contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, di seguito denominati ( contratti di locazione ), sono stipulati o rinnovati, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dei commi 1 e 3 dell’articolo 2.2. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 7, 8 e 13  della presente legge non si applicano:A ) ai contratti di locazione relativi agli immobili vincolati ai sensi della legge 1° giugno 1939, n°1089, o inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, che sono sottoposti esclusivamente alla disciplina di cui all’articolo 1571 e seguenti del codice civile qualora non siano stipulati secondo le modalità di cui al comma 3 dell’articolo 2 della presente legge;B ) agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai quali si applica la relativa normativa vigente, statale e regionale;C ) agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche.3. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 7 e 13 della presente legge non si applicano ai contratti di locazione stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio, ai quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 1571 e seguenti del codice civile. A tali contratti no si applica l’articolo 56 della legge n°392 del 27 luglio 1978.

Appare già a prima vista che la legge in oggetto regola tutto l’ambito delle locazioni abitative ed è obiettivamente alquanto rischioso sostenere che una foresteria, per quanto non soddisfi esigenze abitative del locatore, sebbene di terzi da questo ospitati, non sia comunque un contratto di locazione abitativa.Potremo dire, questo sì con certezza, che la foresteria è una particolare tipologia delle locazioni abitative che serva a soddisfare le esigenze di terzi, ospiti e dipendenti e che petanto serve a connotare una particolare esigenza del conduttore che spesso è una società commerciale e che non abita direttamente nell’immobile, ma vi ospita dipendento od ospiti e che il definirla tale serve a chiarire l’ambito del contratto che al fine potrebbe essere oggetto di contestazione da parte del locatore.Non mi sentirei di consigliare a chicchessia di stipulare il classico contratto  ad uso foresteria di durata 12 mesi senza prima avvisare almeno 6+6 volte l’associato dei rischi che corre, che sono chiaramente quelli di vedersi ricondurre la durata del contratto ad anni 4+4 come da art. 2 legge 437/98.Stessa situazione per le seconde case, ma con una notazione in più. Che le foresterie bene o male non erano regolate da alcuna legge nel precedente regime normativo delle locazioni, mentre le cosiddette seconde case (in realtà erano gli usi transitori) avevano una particolare connotazione nelle norme della legge 392/78 che escludevano l’applicazione del regime vincolistico in punto di canone e durata, norme oramai abrogate e pertanto la questione si può semmai porre soltanto in punto di ultrattività del regime di nullità dei contratti stipulati simultaneamente o comunque in spregio alla legge 392/78 in tale regime normativo, che sono transitati sotti il regime della legge 431/98. E pertanto se le nullità invocabili sotto il precedente regime normativo (ad esempio in punto di eccessività del canone) lo sono ancora dopo il rinnovo e pertanto il transito nella nuova normativa 431/98?Anche tale questione per inciso è sub Iudice con alterne vicende, ma tornando alla questione delle seconde case e delle foresterie, de iure condendo, per usare un altro latinismo, o meglio in una prospettiva di ultetriore riforma, , sembrerebbe efettivamente ragionevole escludere dalla applicazione delle norme imperative in materia di durata fattispecie un po’ atipiche che di abitativo hanno ben poco, quali ad esempio la casa affittata al cacciatore che ivi si reca saltuariamente per i periodi di attività venatoria, la casa di campagna del fine settimana, il cd. Pied a terre (stavolta uso un francesismo) o altri esempio similari.

Locazioni turistiche e contratti transitori. Dove il confine?

Altra questione che appare di frequente in consulenza in materia di contratti di locazione, sempre nell’ambito del sacro timore reverenziale per i contratti lunghi è quella dei contratti turistici o dei transitori.Poiché tali fattispecie sono quelle non soggette al regime vincolistico sulla durata, sin dall’entrata in vigore della legge 431/98 appaiono di particolare interesse per i locatori. È fin troppo ovvia la circostanza che per essere tali, le locazioni turistiche, devono riguardare conduttori che friuscono della unità immobiliare per finalità turistiche, devono cioè essere turisti.non altrettanto ovvia, spesso, per l’associato è la conseguenza che in caso di locazioni stipulate in favore di soggetti che turisti non sono e che all’occorrenza possano dimostrare la propria qualità di “conduttori non turisti” scatta l’applicazione del fatidico 4+4 secondo il meccanismo della simulazione in fase genetica di contratto, che per chi ha lavorato in regime di equo canone era all’ordine del giorno.È dunque sempre buona norma ricordare all’associato o al cliente che per poter stipulare locazioni turistiche  è necessario reperire un conduttore che abbia le caratteristi che di un turista o che non dichiari apertamente di “usare l’appartamento per abitarci tanto il contratto è solo una formalità” come a volte è capitato, magari davanti a testimoni. Fuggire subito da tale tipologia di conduttore che al 90% entrerà in casa e inizierà una causa per simulazione relativa al malcapitato locatore. E meno male che il canone non è più vincolato come al tempo della 392/78.Del resto in una città a grande vocazione turistica come Firenze non dovrebbero mancare le occasioni reali di reperire tali categorie di conduttori.Oggi di grande moda sono le locazioni  alle scuole di italiano o di cultura italiana o di quant’altro similarepuò essere oggetto di insegnamento e che e volte si stipulano proprio con le scuole ed altre direttamente con gli studenti.Occorre sempre fare attenzione che la durata del corso di studio e la durata della permanenza nell’immobile per finalità che a quel punto possono esulare da quelle turistiche sconfinando in quelle abitative, seppure non primarie (magari il conduttore  è un cittadino europeo che si trova particolarmente nella nostra città, ma la propria residenza e  cittadinanza nello stato di provenienza), non possano causare anche in tale situazione problemi di transito da un regime all’altro. È bene non dimenticare che oltre ai problemi di simulazione appena accennati è ancora vigente l’art. 80 della legge 392/78 che regola i casi di conoscenza  (stavolta non in fase genetica del contratto come nelle fattispecie della simulazione) in corso di contratto del regime giuridico dello stesso e che potrebbe (forse) applicarsi ad un caso simile.Forse in questi casi non sarebbe male consigliare all’associato un transitorio, sempre che i parametri e le esigenze di Questi ce lo consentano. ancora una volta de iure condendo si sente la mancanza del riconoscimento delle seconde abitazioni.

Problematiche ed innovazioni di varia natura conseguenti all’entrata in vigore della legge 431/98

Norme abrogate dalla legge 431/98, norme derogabili e necessità conseguenti in sedde di stipula dei contratti di locazione:L’art. 14 della citata legge ha abrogato parte delle norme di cui alla legge  392/78 (equo canone) tra cui alcune su cui è utile soffermarsi brevemente per una segnalazione.In particolare l’abrogazione dell’art. 79 che statuiva la imperatività delle norme di cui alla legge 392/78 è a sua volta abrogato con conseguente derogabilità delle norme rimaste in vigore. Di qui consegue che in sede di stipula dei contratti di locazione si rende necessario segnalare alcune novità e problematiche conseguenti.La abrogazione dell’art. 24 che statuiva l’obbligatorietà dell’aumento istat parrebbe rendere necessario inserire la correlativa clausola all’interno del contratto a pena di non potere adeguare il canone per tutta la durata del contratto, neanche in relazione all’indice di svalutazione monetaria. per contro è possibile statuire l’automatica rivalutazione del canone indipendentemente dalla richiesta.È altresì divenuto forse possibile derogare alle norme di cui agli artt. 5 e 55 che rendono inevitabile il passaggio dal termine di grazia per ottenere la risoluzione del contratto per morosità. In questo senso ci si allinea al trattamento della morosità nell’ambito commerciale ma le relative clausole dovrebbero essere espressamente derogate nel contratto e firmate per specifica approvazione e rilettura ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341 e 1342 cc. Sul punto la modifica è radicale e di grande importanza visto che rende possibile per il locatore rifiutare la sanatoria della morosità ed insistere per la risoluzione del contratto in caso di grave inadempimento.Medesima osservazione valga per le norme che riguardano il deposito cauzionale e la partecipazione alle assemblee in luogo del locatore, anche se la rilevanza di tali possibili deroghe appare alquanto inferiore seppure siano norme particolarmente invise ai locatori;appare rilevante invece la derogabilità dell’art. 9 sulla distribuzione e modalità di pagamento degli oneri condominiali. Valgano in tutti tali ultimi casi le considerazioni svolte in ordine agli artt. 5 e 55 per la specifica approvazione delle clausole.Certo è che in ordine alla liberalizzazione e alla riattribuzione  di un’ampia autonomia contrattuale alle parti, la legge 431/98 ha prodotto una notevole rivoluzione peraltro poco compresa e poco sfruttata ancora oggi, a distanza di otto anni dalla sua entrata in vigore. Appare in tal senso di tuta evidenza la grande differenza tra i contratti di locazione stipulati secondo il “canale libero” e quelli stipulati secondo il “canale convenzionato” che peraltro non viene evidenziata a sufficienza a parere dello scrivente.

Gli accordi territoriali nei comuni limitrofi. Effetti ed esclusioni

I recenti decreti ministeriali in materia di locazioniconvenzionate hanno apportato rilevanti ampliameneti e modifiche su vari punti ed in particolare in ordine agli accordi ed ai contratti convenzionati nei Comuni “limitrofi” ove spesso tali accordi sono del tutto sottovalutati o del tutto sconosciuti. Anzitutto è bene ricordare che nei Comuni non ad alta densità abitativa non sono conseguibili gli sgravi fiscali di cui viceversa beneficiano le parti stipulando tali contratti nei Comuni al alta densità abitativa. Ciò certmente non ha aiutato la diffusione di tali forme di contratto in questi Comuni (peraltro non molto graditi anche nei Comuni ada alta densità abitativa).Peraltro non si deve dimenticare che la minor durata dei suddetti contratti ed in particolare per i transitori e per gli studenteschi, ma anche per lo stesso convenzionato abitativo (3+2 invece di 4+4) può essere un elemento di interesse  per chi loca un appartamento e magari tiene troppo lunga la durata del contratto libero (4+4).Comuni limitrofi: dunque con recenti decreti è stata estesa la possibilità di stipulare contratti di locazione convenzionale anche nei comunni ove non sono stati promossi gli accordi utilizzando quali valori di riferimento quelli del Comune più vicino ed omogeneo per caratteristiche e struttura. È sin troppo evidente che è preferibile stipulare i contratti convenzionati ove è stato approvato il relativo accordo, il che mette al sicuro ogni contestazione.Le locazioni transitorie. Per strano che sembri una recente circolare pare legittimare la possibilità di richiedere il canone senza attenersi ai paramentri di cui all’accordo convenzionato, nella stipula dei soli contratti transitori all’interno dei Comuni non Capoluogo di Provincia;contratti studenteschi: è stata estesa la possibilità di stipulare contrattiper studenti universitari anche ai Comuni limitrofi e non solo ai Comuni confinanti con i Comuni sede di Università come era in origine.Prof. Gilberto BaldazziCoordinatore Generale Nazionale UPPIcon la collaborazione dell’Avv. Marco Gaito

Certificazione energetica in caso di compravendita obbligatoria a decorrere dal 1° Luglio 2009 nel caso di trasferimento a titolo oneroso delle singole unità immobiliari

certificazione_energeticaIl 1° Luglio 2009 è entrato in vigore – salvo diversa disposizione regionale- l’obbligo di redigere l’attestato di qualificazione energetica (ACE/Aqe) per le singole unità immobiliari, in caso di compravendita. L’attestato è un documento con finalità informative, che non obbliga ad adeguare l’edificio e/o l’unità immobiliare, ma determina il dispendio energetico dello stesso.La disciplina energetica degli edifici è contenuta nel d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192 (che ha attuato la direttiva 2002/91/CE).Il provvedimento, all’art. 6, elenca i casi in cui è richiesto l’attestato.

  • Il primo caso riguarda gli edifici di nuova costruzione (cioè la cui richiesta di costruire sia stata presentata successivamente all’8 ottobre 2005) e gli edifici di superficie utile superiore a 1.000 metri quadri, oggetto di ristrutturazione integrale;
  • La seconda ipotesi concerne gli immobili esistenti; essi devono essere dotati dell’attestato secondo le seguenti scadenze:a. A decorrere dal 1° luglio 2007 nel caso di trasferimento a titolo onoroso dell’intero immobile di superficie utile superiore a 1.000 metri quadrati;b. A decorrere dal 1° luglio 2008 nel caso di trasferimento a titolo onoroso dell’intero immobile di superficie utile fino a 1.000 metri quadrati;c. A decorrere dal 1° luglio 2009 nel caso di trasferimento a titolo onoroso delle singole unità immobiliari.

Ma quali sono le conseguenze in caso di inadempimento? L’art.35, comma 2-bis del d.l. 122/’08 ha soppresso la previsione del Decreto legislativo 192/2005 che imponeva, a pena di nullità, di allegare, agli atti di trasferimento a titolo oneroso, la documentazione energetica (salvo norme regionali per altro in corso di emanazione).Successivamente in base alle linee guida (DM 26/06/09) con i criteri di classificazione è reiterato l’obbligo di allegazione per gli edifici esistenti ciò è sostituibile con una autocertificazione con la quale il venditore dichiara che l’immobile è in classe “G” (pessimo!).L’art. 15 comma 7, del citato decreto prevede ora soltanto che il costruttore che non consegni al proprietario, contestualmente all’immobile, l’originale della certificazione energetica, sia punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 5.000 euro e non superiore a 30.000 euro. Obbligo, questo che la finanziaria per il 2008 ha poi reso maggiormente cogente, stabilendo, per le nuove costruzioni, che il rilascio del certificato di agibilità sia subordinato, alla presentazione della certificazione energetica dell’edificio.L’UPPI PREDISPONE LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEL VOSTRO IMMOBILE, PER INFORMAZIONI IN SEDE (Gesticasa: www.gesticasasrl.it).Il PresidenteProf. Dott. G. Baldazzi

Ancora “Rivoluzioni” al consolidato diritto da parte della S.C. di Cassazione

I proprietari di immobili in condominio saranno forse chiamati a rispondere delle soccombenze in giudizio per carenza di legittimazione alle liti da parte dell’amministratore ancorché concordi sul suo operato e informati della controversia.

PREMESSA

La Cassazione con consolidata giuirisprudenza (sent. 15 marzo 2001 n. 3773; 17 maggio 2000 n. 6407; 2 dicembre 1997 n. 12204; 8 luglio 1995 n. 7544; 6 dicembre 1986 n. 7256), compreso il ricorso per Cassazione (sent. 15 marzo 2001, cit.; 22 febbraio 1983 n. 1337; 26 agosto 1986 n. 5203)  ha sempre ritenuto che in base all’art. 1132 del C. Civile l’amministratore avesse la legittimazione passiva e facoltà connesse purché, nei casi in cui il petitum fosse in materia che esorbita dai suoi poteri, “… dia senza indugio notizia all’assemblea dei condomini” quindi alla prima assemblea o con una informativa ad una straordinaria se vi fossero utili questioni.Ove poi vi fosse stato esplicito mandato a resistere al giudizio, ancorché la cosa apparendo all’epoca della giurisprudenza citata superflua, si dovesse intendere tale mandato anche quello di proporre tutti i gravami che si rendessero in seguito necessari (sentenza 6 dicembre 1986 citata).Con rivoluzionaria sentenza della S.C. di Cassazione Civile ( sez II 26 Novembre 2004 n° 22294) si recita

“… il Collegio ritiene di non condividere tale orientamento, in quanto basato su una interpretazione dell’art. 1131, seconda comma, cod. civ. che non tiene conto della ratio ispiratrice di tale norma, la quale è diretta a favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli, invece di citare tutti i condomini, di notificare la citazione all’amministratore.Nulla, invece, nella norma in questione giustifica la conclusione secondo la quale l’amministratore sarebbe anche autorizzato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea.Una volta chiarito tale punto, va rilevato che, in considerazione del fatto che la cd. autorizzazione della assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, per cui, in definitiva, l’amministratore non svolge che una funzione di mero nuncius, tale autorizzazione non può valere che per il grado in giudizio in relazione al quale viene rilasciata.Ciò a prescindere dalla considerazione che sembra logico ritenere che, in linea di principio, il proseguimento del processo in caso di esito sfavorevole in prima istanza, deve essere oggetto di una valutazione  da parte di chi ha il potere deliberativo nell’ambito del condominio (l’assemblea) e non da parte di ci svolge compiti di natura essenzialmente esecutivi e gode di limitati poteri decisionali (l’amministratore)”.

CONSIDERAZIONI

Evidentemente la Cassazione nella riportata decisione fa parziale riferimento al non citato art. 65 delle disposizioni di attuazione del C. Civile nella tutela del terzo come sopra illustrato (che può chiedere la nomina di un curatore speciale quando per qualsiasi causa il condominio è privo dell’amministratore, il quale  dovrà convocare l’assemblea per “avere istruzioni sulla condotta della lite”) Quindi si evidenzia la necessità di una assemblea (ma può essere la medesima nella quale l’amministratore in altro presupposto riferirà, quindi cosa cambia?) non di un mandato specifico che peraltro, se fosse così restrittiva la valutazione della norma coma la Cassazione ritiene nella sua novella interpretazione, anche il curatore de quo dovrebbe avere un mandato altrimenti non potrebbe che “rimettersi a giustizia” perché se così il tutto fosse, anche l’art 1136 “IV” gioca un ruolo negativo dovendosi proporre una delibera COSPICUA di cui al II comma del medesimo articolo (la maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi!)Forse la Cassazione (ancora non citandolo però) fa riferimento proprio alla interpretazione letterale del IV comma del 1136 ricordato ove testualmente per indicare le maggioranze per le varie delibere si legge

“… le deliberazioni che concernono … le liti attive e PASSIVE…”

Quindi anche le passive con delibera e con una tale cospicua maggioranza? Con buona pace della consolidata consuetudine e Giurisprudenza!

UN PARADOSSO QUINDI

Appare spropositata l’impostazione della recente di Cassazione per cui non solo occorre un mandato a resistere ad una citazione pervenuta all’amministratore,. ma occorre una cospicua maggioranza!E se non si consegue delibera e tuttavia l’assemblea, magari con le maggioranze ridotte di seconda convocazione, desse indicazioni sulle strategie da adottare, l’amministratore non può costituirsi e pur legittimato passivamente a ricevere l’atto di citazione (comma II art,. 1131 citato) sarà contumace? Ma come può essere legittimato e nel contempo contumace? Un caso di negata Giustizia e ricorribilità alla Corte Costituzionale? E ancora, se l’amministratore  si costituisce ed assume utili condotte di causa il condominio soccomberà   comunque? Per non parlare degli effetti di un decreto ingiuntivo e dei pregiudizi che potrebbero derivarne… Ma allora come si concilia tutto ciò con la facoltà addirittura all’amministratore conferita dall’art. 1130 – 4° per cui egli può (giustamente nell’interesse dei piccoli proprietari in condominio) compiere autonomamente gli atti (quindi autonomamente davanti all’Autorità Giudiziaria) conservativi dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio?La tesi della nuova di Cassazione può essere condivisa, AL LIMITE, solo nell’ipotesi dell’esigenza del mandato specifico all’amministratore solo ove debba trattarsi di ricorso in Cassazione, appunto, ove il petitum varia dal merito alla legittimità e quindi è in tal caso a giudizio dello scrivente opportuna la valutazione con delibera di assemblea (ancorché “illuminante” la sentenza di Cassazione citata e storica sempre richiamata e confermata del 2001 sez.  II 15 Marzo 2001, la quale, richiamando la precedente fin dal 1986 n° 5203,  recita

” .. quanto poi alla dedotta mancata indicazione nel ricorso del conferimento all’amministratore di un mandato per la proposizione del ricorso in sede di legittimità è appena il caso di rilevare che per consolidata giurisprudenza di legittimità l’amministratore non necessita di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessere necessarie, compreso il ricorso in cassazione, in relazione al quale è legittimato a conferire la procura speciale all’avvocato iscritto nell’apposito albo a norma dell’art. 265 c.p.c. (v. Cass. n. 5203-86)”

Complimenti ai giudici dell’epoca!

ERGO

Di certo è da respingersi l’ipotesi di necessità di esplicito mandato per resistere in giudizio ad azione in cui il condominio sia convenuto in primo grado e, forse, anche al gravame di merito.Una decisione della S.C. di Cassazione a sezioni riunite, data la contraddittorietà della discutibile sentenza, si impone!Prof. Gilberto Baldazzi

I proprietari di immobili per il rilancio del settore abitativo

Il nostro paese è caratterizzato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, da una politica di forte incentivazione dell’acquisto della prima casa. Inoltre il “mattone” è stato sempre visto dai risparmiatori come “bene rifugio” che consente un arrotondamento delle entrate familiari ed assicura una vecchiaia più serena. In conseguenza di tale “cultura” oggi siamo il Paese al mondo con il maggior numero di proprietari immobiliari. Parallelamente alla diffusione della piccola proprietà è iniziata una vera e propria politica di tassazione diretta ed indiretta del bene casa che ha da tempo “tracimato” ed appare ormai insostenibile.Inoltre un regime vincolistico della disciplina sulla locazione abitativa durata per oltre cinquanta anni ha provocato una profonda crisi nel settore con notevole diminuzione dell’attività edilizia trainante dell’intera economia nazionale. Solo nel 1998 il legislatore ha approvato la legge di riforma n. 431 che ha introdotto alcuni elementi di fondamentale importanza ed assolutamente innovativi: il doppio binario (canoni liberi e canoni concordati), il fondo sociale per l’affitto e gli sgravi fiscali quale forma di incentivazione alla conclusione di contratti a canoni concordati.Con la legge n. 431 del 1998, inoltre, si sono modificate le modalità di intervento dello Stato che è passato da una politica finalizzata ad incrementare il patrimonio abitativo, ad un sostegno finanziario al reddito delle famiglie in difficoltà nel pagare gli affitti del mercato privato. Imitando modelli già sperimentati in alcuni Paesi europei, si è ritenuto di “stabilizzare” la permanenza delle famiglie in affitto privato per ridurre la pressione della domanda sul versante pubblico.C’è chi sostiene che tale legge non ha prodotto risultati apprezzabili e che, in quasi tutte le principali città italiane, l’offerta di alloggi in affitto è ulteriormente diminuita. Ciò non è esatto perché sono invece stati immessi nel mercato locativo alloggi prima tenuti sfitti per la scarsa remuneratività delle locazioni ovvero in vista del soddisfacimento di esigenze personali dei proprietari o dei loro familiari.È però anche vero che, a distanza di circa sei anni dalla sua entrata in vigore, la legge di riforma non è stata completamente attuata a causa di una forte sottovalutazione della portata innovativa della disciplina. Non è stato costituito l’Osservatorio nazionale; pochissimi sono i Comuni che hanno ridotto ed azzerato l’ICI per gli immobili locati con contratto a canone concordato; vi è incertezza e non è stato incrementato il fondo sociale per l’affitto che addirittura è stato diminuito e si è cominciata ad eroderne l’efficacia destinando parte di queste risorse per altri scopi, modificando, di fatto, l’impianto della legge, né si è proceduto oltre con gli sgravi fiscali.La nuova legge nella sua applicazione ha avuto luci ed ombre. È ora arrivato il momento di riprendere in modo deciso il percorso della sua completa attuazione, tenendo conto delle problematiche più pressanti:

  1. un mercato della locazione che risente ancora di oltre cinquant’anni di regime vincolistico;
  2. una domanda diversificata;
  3. una illegittima politica di blocco degli sfratti sia pure in favore di categorie disagiate;
  4. una pressione fiscale che ha raggiunto limiti intollerabili;
  5. l’impostazione di balzelli a carico della piccola proprietà immobiliare: dalla rivisitazione degli estimi catastali alla minacciata obbligatorietà dell’assicurazione contro le calamità naturali, ecc., ecc.;
  6. il depauperamento del patrimonio immobiliare degli enti pubblici e degli investitori istituzionali a causa della dismissione degli immobili;
  7. la mancanza di una seria politica dell’abitare.

Dr. Gilberto Baldazzi

Certificazione energetica in caso di compravendita obbligatoria a decorrere dal 1° Luglio 2009 nel caso di trasferimento a titolo oneroso delle singole unità immobiliari

Il 1° Luglio 2009 è entrato in vigore – salvo diversa disposizione regionale- l’obbligo di redigere l’attestato di qualificazione energetica (ACE/Aqe) per le singole unità immobiliari, in caso di compravendita. L’attestato è un documento con finalità informative, che non obbliga ad adeguare l’edificio e/o l’unità immobiliare, ma determina il dispendio energetico dello stesso.

La disciplina energetica degli edifici è contenuta nel d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192 (che ha attuato la direttiva 2002/91/CE).
Il provvedimento, all’art. 6, elenca i casi in cui è richiesto l’attestato.

  • Il primo caso riguarda gli edifici di nuova costruzione (cioè la cui richiesta di costruire sia stata presentata successivamente all’8 ottobre 2005) e gli edifici di superficie utile superiore a 1.000 metri quadri, oggetto di ristrutturazione integrale;
  • La seconda ipotesi concerne gli immobili esistenti; essi devono essere dotati dell’attestato secondo le seguenti scadenze:
    a. A decorrere dal 1° luglio 2007 nel caso di trasferimento a titolo onoroso dell’intero immobile di superficie utile superiore a 1.000 metri quadrati;
    b. A decorrere dal 1° luglio 2008 nel caso di trasferimento a titolo onoroso dell’intero immobile di superficie utile fino a 1.000 metri quadrati;
    c. A decorrere dal 1° luglio 2009 nel caso di trasferimento a titolo onoroso delle singole unità immobiliari.

Ma quali sono le conseguenze in caso di inadempimento? L’art.35, comma 2-bis del d.l. 122/’08 ha soppresso la previsione del Decreto legislativo 192/2005 che imponeva, a pena di nullità, di allegare, agli atti di trasferimento a titolo oneroso, la documentazione energetica (salvo norme regionali per altro in corso di emanazione).

Successivamente in base alle linee guida (DM 26/06/09) con i criteri di classificazione è reiterato l’obbligo di allegazione per gli edifici esistenti ciò è sostituibile con una autocertificazione con la quale il venditore dichiara che l’immobile è in classe “”G”” (pessimo!).

L’art. 15 comma 7, del citato decreto prevede ora soltanto che il costruttore che non consegni al proprietario, contestualmente all’immobile, l’originale della certificazione energetica, sia punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 5.000 euro e non superiore a 30.000 euro. Obbligo, questo che la finanziaria per il 2008 ha poi reso maggiormente cogente, stabilendo, per le nuove costruzioni, che il rilascio del certificato di agibilità sia subordinato, alla presentazione della certificazione energetica dell’edificio.

L’UPPI PREDISPONE LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEL VOSTRO IMMOBILE, PER INFORMAZIONI IN SEDE (Gesticasa: www.gesticasasrl.it).

Il Presidente
Prof. Dott. G. Baldazzi”